L’illusione è
sempre stata la mia forza,
il combustibile che mi metteva in movimento.
Cambiare, sorprendere se stessi, ingannarsi se
necessario
Ma ben assestati in una sorta di evoluzione
permanente.
Quand’è che ho smesso di sentirmi fabbro del mio
destino?
Lidia Ravera in “Piangi Pure”
L’illusione,
come la trama e l’ordito di una tela, è “filo” essenziale in quella che è
l’esperienza del visitatore a Bali. Nel suo teatro delle ombre, le marionette
che raccontano le storie, hanno bisogno del filtro di uno schermo opaco perché
l’ombra possa stagliarsi, e di una fonte di luce in angolo per creare la magia
dello spettacolo. Allo stesso modo, si può dire che l’illusione è una magia
necessaria a Bali per dare vita al suo meraviglioso, quotidiano, “teatro delle
ombre”. Elizabeth Gilbert, l’autrice del libro Mangia prega ama racconta che la scelta di Bali, quale terza e
ultima tappa del suo viaggio, fu dettata dall’incontro con un balian un guaritore balinese, avvenuto
due anni addietro, durante una breve vacanza sull’isola. Ketut Liyar dopo
averle predetto tanta fortuna e rovesci finanziari, concluse sorridendo: “…e
poi tornerai a Bali e io ti insegnerò tutto quello che so.” Quando Liz si
presentò trepidante alla porta del balian,
qualche tempo dopo, rimase completamente spiazzata nel constatare che lui aveva
completamente dimenticato la predizione e solo dopo ripetuti insistenti
tentativi di farlo ricordare, il guaritore aveva educatamente ricordato. L’incontro per lei così unico da stagliarsi
indelebile nella memoria non aveva lasciato alcuna traccia invece in quella di
lui. A guidarla fino a lì, alla sua terza significativa tappa del viaggio, era
stata quindi un’illusione.
Quando Eat Pray Love uscì negli Stati Uniti,
nel 2006, mi trovavo a Bali e gli echi di questo libro mi giungevano da più
parti nelle vesti di giovani donne che avevano letto il libro ed erano poi
volate a Bali. Fenomeno che negli anni successivi diverrà sempre più
consistente tanto che ad un certo punto le riconoscevi ad occhio nudo per una
sorta di uniforme o aura che le accomunava. L’autrice, l’allora trentacinquenne
Elizabeth Gilbert aveva soggiornato quattro mesi a Ubud, come racconta nel suo
libro, quando anch’io vi soggiornavo. Allora il libro di Gilbert ancora non era
diventato un best seller ma il passa
parola tra le donne stava diventando un tam-tam che risuonava prima da una
città all’altra e poi da un continente all’altro. Ad un certo punto qualcuno
fece notare che Eat Pray Love era
nelle classifiche dei libri più venduti da quasi 200 settimane negli Stati
Uniti.
Non l’ho letto
quando tutte me ne parlavano come di un evento sensazionale ma solo un paio
d’anni più tardi quando mi trovavo a Melbourne e avevo nostalgia di Bali.
Scritto in un linguaggio estremamente accattivante è il resoconto di viaggio,
l’autobiografia di un anno particolare nella vita di una giovane donna. Per
togliere di mezzo la depressione post divorzio, ha un’idea originale che la sua
editrice finanzia: passare quattro mesi in tre posti del mondo diversi dove
imparare qualcosa. In Italia imparerà a gustare il buon cibo, in India ad
apprezzare le profondità dello spirito e a Bali ad amalgamare le due cose. Dal
2008 mi sono interrogata a più riprese per comprendere il successo
megagalattico di Mangia, prega, ama
perché è stato indubbiamente un caso letterario significativo. Ma, ad
interessarmi, più che lo straordinario numero di copie vendute, è stato
l’impatto che è riuscito ad avere nelle vite di molte giovani, la curiosità che
ha suscitato e che ha portato molte donne a raccomandarlo, promuoverlo,
regalarlo.
Elizabeth
Gilbert non è una donna qualsiasi in
preda alla depressione post-divorzio. E’ una professionista conosciuta che
pubblica regolarmente i suoi scritti su GQ
e altri noti magazines e quotidiani
di qualità. Questo dato la colloca da subito su una piattaforma di
autorevolezza. Anche se inizia il suo racconto parlando della depressione e
della solitudine come sue costanti compagne di vita, è una strategia per
allearsi la lettrice, per farsela amica, per stabilire una piattaforma di
parità, di sorellanza nella sofferenza e mettere in secondo piano il fatto che
in realtà Elizabeth è una donna fortunata che può permettersi l’esperienza di
viaggiare grazie ad un anno sabbatico pagato in anticipo. Il suo anno trascorso
in giro per il mondo, ha un happy ending
perché a Bali, anzi proprio ad Ubud, incontra l’amore della sua vita, l’uomo
che ancora una volta la fa sognare. Elizabeth nel libro, si propone come una
moderna eroina romantica che alla fine della sua ricerca viene premiata con
l’amore. Le eroine romantiche in passato non venivano premiate con l’amore ma
al contrario venivano punite o morivano. Questo rovesciamento, che non è
letterario ma vero, ha un impatto simbolico
molto forte ed è a mio avviso all’origine del successo del libro. L’autrice
insomma dice tra le righe alle sue lettrici che come lei condividono un
progetto di vita non incentrato su famiglia e figli e che alla maternità
preferiscono l’ambizione: “Care amiche, non abbiate timore di sguinzagliarvi là
fuori dove le donne non osano andare, ma lo desiderano da sempre. Guardate me!
Non solo ho viaggiato perché mi piace, ma alla fine ho avuto come premio
l’amore vero.” Elizabeth Gilbert ha detto con autorevolezza e verità, perché il
suo non è un libro romanzato prodotto della fantasia, che una donna, oggi nel
2000, può finalmente avere la torta, come dice un famoso proverbio inglese, e
invece di accontentarsi delle briciole, come ha fatto sinora, può mangiarla
tutta.
Paragonerei, con
un certo azzardo forse, il successo di Mangia
Prega Ama a quello di Paura di volare
di Erica Jong pubblicato nel lontano 1973. Anche il libro di Erica non ha un
particolare spessore dal punto di vista dello stile letterario, è scritto con
un linguaggio moderno, ricco di humor e qualche parolaccia che all’epoca fece
scalpore, ma il suo contenuto catalizzò così tante energie attorno a sé da
sollevare il coperchio di un immaginario vaso di Pandora da cui fuoriuscirono i
desideri sessuali e d’avventura inconfessati delle giovani donne d’allora. Nel
2013 si sono festeggiati, anche in Italia, i quarant’anni di Paura di volare che ha venduto venti
milioni di copie, ma Mangia Prega Ama non se la cava poi male,
perché in meno di dieci anni ne ha già venduto undici milioni in tutto il
mondo. Anche se non condivide la spregiudicatezza nel trattare il desiderio
sessuale femminile, per cui il libro di Erica è diventato famoso, Elizabeth come
Erica, si fa paladina e portavoce di un desiderio femminile che cova da sempre
sotto le ceneri e poche volte trova il coraggio di accendersi e divampare:
parlo del desiderio d’avventura. Il suo libro oggi, come quello di Erica ieri,
ha saputo catalizzare attorno a sé e rendere visibili i desideri inconfessati
d’avventura di molte donne.
Elizabeth
inoltre, ha dato visibilità alla "moderna viaggiatrice", al cambiamento
sostanziale rispetto alle viaggiatrici di fine Ottocento e primi del Novecento,
vedi Alexandra David-Neel, Freya Stark, Ella Maillard per citare le più note; il suo libro, insomma, ha reso evidente un processo in atto, ma poco noto al mainstream, vale a dire l'avvento di una sorta di “democratizzazione”, di allargamento dell’esperienza del
viaggio, una volta riservata a poche privilegiate. In altre parole Mangia Prega Ama segna, tra le altre
cose, un passaggio dalla letteratura delle viaggiatrici coraggiose, intrepide e
ricche, ad una letteratura di viaggio esperienziale
che non è nemmeno di chi va a fare volontariato e poi scrive un libro.
L’esperienza di Elizabeth è in effetti accessibile ad un pubblico più vasto,
che non ha più bisogno di essere intrepida, assumersi rischi impensabili,
armarsi di coraggio; ma tutto quello di cui ha bisogno è spirito d’avventura e
un po’ di soldi. La promessa dell’avventura romantica a coronare il tutto, non
si trovava nei libri delle viaggiatrici di un tempo che probabilmente, anche se
le vivevano, se lo tenevano per sè. Il suo libro e ancor più il suo successo,
ha legittimato le aspirazioni di tutte quelle giovani che “faticano” ad aderire
al progetto che la società ha su do loro, la maternità e la famiglia, e
desiderano invece un po’ d’avventura e di scoperta.
Era inevitabile
che Eat Pray Love attirasse
l’attenzione di Hollywood dopo i milioni di copie vendute. Il fatto stesso che a interpretare la parte di Elizabeth nel film
sia Julia Roberts, allora ancora una delle attrici più pagate di Hollywood, e
che abbia dovuto contendersi la parte a lungo con le altre star, la dice lunga
sull’impatto che il libro ha avuto e sulla notorietà che interpretare quel tipo
di eroina avrebbe portato. Il libro di Elizabeth prima, e il film poi, hanno
sicuramente contribuito a mettere carburante ai sogni d’avventura di molte
ragazze. Alcune di loro si sono avventurate in una sorta di pellegrinaggio a
Ubud le cui tappe sono state: mettersi in fila per una lettura della mano da
Ketut Liyer e andare nel negozio di erboristeria per una tisana depurativa da
Wayan Nuriashi, la donna che Elizabeth ha aiutato.
Se è stata
l’illusione a portare la nostra autrice a Bali, più di tanto non mi stupisce.
L’illusione è un tema ricorrente in questa terra dove la verità raramente sta
in quello che ti si para davanti o ti viene mostrato; specialmente per noi
occidentali è difficile afferrare il senso di molte cose perché non conosciamo
i codici che sono alla base della cultura orientale. E quello che sappiamo
spesso rientra nello stereotipo. Non solo, l’illusione viene attivamente
propagandata dagli stessi balinesi per ricavarne da vivere. Insomma, per vivere
a Bali, prima o poi devi imparare come
venire a patti con l’illusione. Il mio consiglio è di fare dell’illusione la
tua maestra: in questo modo ti verrà indicata la tortuosa strada che porta alla
verità e avrai trasformato un’esperienza potenzialmente illusoria in una invece
concretamente esplorativa e gratificante. Esattamente quello che ha saputo fare
anche la nostra eroina, la cara, accattivante Liz di Mangia prega ama.
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